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L’ottica con cui lo Stato guarda alla società e alla natura è intenzionalmente ultra-semplificatrice perché, per tutto comprendere (e controllare), deve inevitabilmente comprimere la diversità del territorio e della sua popolazione all’interno di griglie standardizzate più facili da gestire. Ricostruire il passaggio epocale che ha portato all’attuale configurazione di potere – tramite l’istituzione di mappe, censimenti, cognomi fissi, elenchi catastali, pesi e misure unificati… – è essenziale per cogliere l’arte di governo moderna, con la sua pretesa di razionalità – sconfessata dai disastri provocati dall’ingegneria sociale ultra-modernista nel ventesimo secolo – e l’invasività dei suoi dispositivi di controllo, sempre più capillari. Queste semplificazioni della natura, della società e persino dell’animo umano sono state fatte a scapito delle pratiche vernacolari, informali e non codificabili, che Scott definisce mētis. Ovvero quelle forme di conoscenza radicate nell’esperienza che proprio per la loro complessità rimangono incompatibili con le esigenze di schematizzazione proprie di qualsiasi ordine sociale pianificato e centralizzato, confermandosi così come le forme di resilienza più efficaci per sottrarsi allo sguardo omologatore dello Stato.
James C. Scott è docente di Scienze politiche e Antropologia nell’Università di Yale.