Ilaria Schiaffini, docente di Storia della Fotografia, Università degli Studi La Sapienza di Roma
Insegni All’Università La Sapienza Storia della fotografia, ci puoi raccontare un po’ di più dei tuoi corsi?
Tengo due corsi di Storia della fotografia, entrambi da 6 crediti (42 ore) a scelta degli studenti: uno per la Laurea Triennale in Studi Storico-Artistici e uno per la Magistrale In Storia dell’arte e Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media. Il primo è un corso di base, che ripercorre a grandi linee la storia della fotografia dalle origini ai giorni nostri e introduce elementi di lettura dell’immagine fotografica. Il secondo si articola normalmente in una parte dedicata ad alcuni snodi teorici fondamentali (Benjamin, Barthes, Sontag, Berger, Krauss, la riflessione postmoderna, i Visual Studies, etc.) e in una parte di approfondimento su un tema specifico (Arte e fotografia tra le due guerre; La fotografia postmoderna; La scuola italiana di paesaggio sono alcuni dei corsi degli ultimi anni). Normalmente assegno agli studenti frequentanti un lavoro da presentare in aula (workshop): gli allievi della triennale devono leggere una fotografia in base a uno schema di lettura fornito all’inizio del corso, mentre quelli della magistrale approfondiscono un tema specifico, misurandosi con la letteratura critica più recente.
Come i tuoi insegnamenti entrano in relazioni con gli altri corsi della facoltà?
Il mio insegnamento di magistrale è condiviso dagli studenti di Storia dell’arte e da quelli di Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media; spesso è frequentato anche da studenti di altri corsi di laurea, come quello di Editoria e Scrittura. Quello triennale invece è per la quasi totalità fruito da studenti di Studi storico-artistici, a parte qualcuno proveniente da Filosofia, Architettura e da discipline dello Spettacolo. Dal momento che la fotografia è un oggetto multiforme, aperto a usi e funzioni molteplici, trovo sempre molto stimolante e produttivo il confronto tra diverse prospettive disciplinari.
Perché secondo te è importante intraprendere un percorso universitario che approfondisca a livello teorico la fotografia?
Nell’età del web interattivo, della pervasività dei social e delle nuove frontiere inaugurate dalla fotografia dell’intelligenza artificiale è necessario sviluppare una consapevolezza critica su quello che oggi è molto di più che uno strumento di riproduzione meccanica del visibile. John Berger diceva, citando Freud, che la macchina fotografica è un sostituto della memoria; oggi possiamo dire che è diventata una protesi per la percezione del reale, un veicolo di creazione e condivisione di esperienze, un filtro se non, al limite, un sostituto della vita reale e delle relazioni sociali. Avere coscienza di tutto ciò serve a compiere le proprie scelte in maniera autonoma e responsabile, smascherando lusinghe pubblicitarie, speculazioni economiche e manipolazioni politiche. I giovani sono i più esposti a tali rischi, e dunque trovo che sia fondamentale oggi offrire loro uno spazio di riflessione sulle prerogative e sui poteri dell’immagine fotografica. Un momento molto formativo è stato durante il primo confinamento radicale per l’emergenza pandemica, nella primavera del 2020. Con circa duecento studenti che on line cercavano non solo la lezione accademica, ma anche la condivisione di un momento inaspettatamente drammatico, del quale tutti avevamo esperienza soprattutto tramite le fotografie e i video che passavano sugli schermi delle nostre case, abbiamo realizzato il workshop Fotografare l’isolamento: ciascuno poteva realizzare o raccogliere fotografie dai social connesse con quel momento. Leggere e interrogare insieme quelle immagini, sentire dalle loro voci i racconti delle storie dietro di esse, ha avuto un effetto quasi terapeutico. Lo ricordo come uno dei momenti più intensi della mia attività didattica.
Qual è la relazione fra teoria e pratica nel tuo e cosa ti sta più a cuore trasmettere ai tuoi studenti?
Quando mi è possibile cerco di integrare la prospettiva storica con quella pratica. Il modo più immediato è quello di invitare i fotografi a parlare del loro lavoro in dialogo con gli studenti; quello più complesso – e anche di maggiore soddisfazione – può assumere la forma di un progetto creativo condiviso tra i fotografi e gli studenti di storia dell’arte. Qualche anno fa Valentina Vannicola ha realizzato un bellissimo workshop di staged photography sulle Cosmicomiche di Calvino, che ha coinvolto gli studenti di storia dell’arte e gli allievi dell’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata, che allora si trovava a San Lorenzo, a due passi dalla Sapienza. Con l’ISFCI abbiamo realizzato molti progetti, tra cui due mostre al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza. La prima è La grande allusione; 1974-2015. I ruoli del femminile di Marcella Campagnano, ieri e oggi (in collaborazione con Raffaella Perna), nella quale esponevamo le fotografie dell’autrice con quelle ideate e messe in scena per l’occasione dagli studenti di storia dell’arte, di scienze della moda e del costume e dell’ISFCI. La seconda risale al 2021: L’università La Sapienza e il quartiere San Lorenzo, un articolato progetto di Terza Missione nel quale Alessandro Imbriaco e Caimi&Piccinni hanno realizzato con gli studenti della Sapienza e dell’ISFCI due laboratori: rispettivamente una raccolta, schedatura e digitalizzazione delle fotografie vernacolari conservate dagli abitanti del quartiere (Album San Lorenzo) e una serie di ritratti e videointerviste ad alcune categorie di abitanti del quartiere (gli studenti, gli artigiani, gli extracomunitari, gli artisti). Gli esiti di questo progetto, che ha avuto il patrocinio del Municipio II e ha coinvolto le scuole primaria e secondaria del quartiere, si trova sul sito del MLAC.
Pensi sia importante far uscire i tuoi insegnami fuori dall’ambito dai corsi all’Università e se si, come?
Collegare gli insegnamenti accademici con quanto avviene al di fuori delle mura universitarie è qualcosa a cui ho sempre tenuto molto. Spesso si usa la parola disseminazione per indicare gli effetti del sapere accademico nella società; una parola che non amo perché presuppone una relazione gerarchica e univoca dal docente al discente. Ho sempre pensato, invece, che fare cultura significhi partecipare a un processo condiviso di scambio di esperienze, competenze e punti di vista. Del resto, soprattutto quando ci si occupa di contemporaneo, la ricerca è strettamente connessa con quel che accade e si trasforma davanti ai nostri occhi. E le esigenze dell’oggi condizionano ogni costruzione del passato, come già avvertiva Benjamin.
Qual è la tua relazione con la città di Roma come docente e come studiosa e curatrice?
Alla Sapienza il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, che attualmente dirigo, è una opportunità straordinaria per trasformare le lezioni accademiche in dibattiti pubblici, i progetti di ricerca in esposizioni aperte alla città. Ne sono esempi, lo scorso anno, la prima mostra in assoluto sulla pittura di Mario Giacomelli, che è nata da un progetto di avvio alla ricerca di una nostra dottoranda, Irene Caravita, in collaborazione con l’Archivio Giacomelli; oppure la mostra sulle fotografie di Emanuele e Giuseppe Cavalli, nata da una tesi di laurea di Arianna Laurenti, poi sviluppata in una serie di iniziative espositive con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Civico Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado e la Biblioteca comunale di Lucera, anche questa volta a partire da un lavoro congiunto negli archivi dei due fratelli.
Cosa suggeriresti a un giovane studente appena arrivato in città?
A un giovane studente consiglierei di andare in giro per musei e gallerie: sempre più numerose sono le mostre fotografiche anche in sedi istituzionali, come il Museo Intrastevere, il Maxxi, il Palazzo delle Esposizioni, l’Ara Pacis, il Mattatoio, l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, l’Istituto Centrale per la Grafica. Con momenti di fortune alterne a seconda della direzione e delle fasi storiche, direi che c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ci sono poi alcuni luoghi di promozione della cultura fotografica rivolti non solo ai professionisti ma anche agli appassionati, come Officine Fotografiche, che nella sua sede dotata di una libreria specializzata oltre ai corsi ospita incontri pubblici, letture di portfolio, festival, esposizioni.