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Niccolò Fano, fondatore e direttore della galleria Matèria

Raccontaci di te e della tua storia

Sono nato a Roma nel 1985 e mi sono formato principalmente in Inghilterra. Ho conseguito un BA in Fotografia alla University for the Creative Arts e ottenuto un master presso il Central Saint Martins a Londra. Nello stesso periodo ho conseguito un MBA in Creative Ventures presso la London Business School, ho iniziato a lavorare come project manager per l’artista Karen Knorr – con la quale collaboro tuttora – e come assistente di galleria da Kate MacGarry gallery. Nel 2013, dopo sette anni lontano da Roma, sono tornato e nel 2015 ho aperto Matèria a San Lorenzo.  

Giuseppe De Mattia, Figlio di gazza, 2023,
courtesy dell’artista e di Matèria, ph. by Roberto Apa

Perché aprire una galleria a Roma, e quali sono le sue peculiarità?

Ho inizialmente pensato di aprire la galleria a Londra ma la situazione economica della città nel 2013 era proibitiva per chi come me non aveva un budget consistente da investire. Dopo tanto tempo passato all’estero sentivo la necessità di tornare a casa. Roma presentava un panorama molto particolare, da un lato l’assenza di gallerie specializzate in fotografia suggeriva un gap nel mercato che avrei potuto colmare, in opposizione a questa nota positiva si contrapponevano le motivazioni per l’assenza di questi spazi. Roma è una città complicata, dominata dalla sua bellezza e importanza storica. Il contemporaneo in città è sempre stato un elemento marginale, connotato da poche eccellenze che rimangono aperte grazie a tanti sacrifici e un lavoro egregio portato avanti sul piano locale ma soprattutto in proiezione internazionale. Roma è un’ottima vetrina alla quale manca un’ossatura contemporanea ed un vero dialogo tra pubblico e privato.

Da una fase iniziale, perlopiù focalizzata sulla fotografia, hai esteso le proposte della galleria ad altre pratiche artistiche. Come si intrecciano questi differenti linguaggi all’interno di Matèria?

Abbiamo capito molto presto che la fotografia presentava dei limiti oggettivi dati dalla riproducibilità del mezzo e dalle poche idee che l’hanno caratterizzata nell’ultimo decennio. In termini di mercato la fotografia (specialmente in Italia) ha un peso minore e comporta dei costi molto alti in ambito di produzione. Allo stesso tempo il mio interesse verso altri mezzi è cresciuto, e con il passare del tempo ho intrapreso un percorso di curioso approfondimento che mi ha permesso di accrescere le competenze necessarie ad inserire nuove espressioni artistiche all’interno del programma espositivo. Questo percorso è stato facilitato e guidato dagli artisti che abbiamo scelto di portare in galleria – come Marta Mancini per la pittura e Stefano Canto per la scultura – specialisti e grandi studiosi delle rispettive discipline.

Fabio Barile, Works for a Cosmic Feeling, 2021,
courtesy dell’artista e di Matèria, ph. Roberto Apa 

Che futuro vedi per la fotografia?

Purtroppo ho una visione prevalentemente negativa per il futuro della fotografia se analizzata sotto il profilo del professionismo. La storia della fotografia è una storia di democratizzazione inarrestabile, un processo in costante ascesa che trova nell’adozione dell’intelligenza artificiale un acceleratore di una portata difficilmente quantificabile. L’esercizio estetico della bella foto è sfuggito dalle mani dei fotografi ed è ora dominio di tutti. Nei prossimi anni la fotografia a livello professionistico (in ambito artistico e commerciale) subirà un processo di decrescita inarrestabile. Questo processo sarà caratterizzato da uno svuotamento enorme del settore e la conseguente dipartita di artisti/professionisti che negli anni hanno puntato puramente sulla facilità della superfice estetica, rincorrendo un modello instagram che se analizzato in proiezione futura, dovrebbe aver fatto capire – a chi ora si trova a doversi reinventare – che ciò che hanno rincorso li renderà obsoleti. 

Da questo punto di vista, come ti confronti con gli artisti della galleria che usano ancora prevalentemente questo mezzo e cosa ti interessa del loro lavoro?

Il confronto in questi anni si è sviluppato su due binari paralleli in base ai profili molto diversi incarnati dagli artisti emergenti e quelli affermati. Con gli artisti affermati, tra cui Sunil Gupta e Mario Cresci, una parte consistente del lavoro si focalizza sul consolidamento dell’eredità culturale e la tutela del contributo dato alla fotografia. Entrambi gli autori rappresentano eccellenze nelle loro rispettive aree di interesse, contestualizzati all’interno di un periodo storico dove la fotografia aveva ancora ampio margine per un impatto strutturale in termini artistici e di documentazione. Il piano più interessante è quello del dialogo con gli artisti più giovani che si trovano ad affrontare un panorama molto diverso. La scelta di questi artisti infatti, non è basata sul dialogo autoreferenziale che caratterizza la fotografia, ma bensì sul collocamento del mezzo in un panorama più ampio dove l’immagine si rapporta in chiave paritaria con la totalità dei mezzi artistici, favorendo una lettura adeguatamente complessa di un contemporaneo che diventa sempre meno decifrabile. Artisti come Fabio Barile e Xiaoyi Chen – che negli anni hanno messo in discussione i limiti ed esaltato le competenze del mezzo – ne sono l’esempio lampante. 

Sunil Gupta, Emerge into Light, 2021, courtesy dell’artista e di Matèria, ph. Roberto Apa

E come indirizzeresti uno studente che ha intrapreso un percorso di studi incentrato su questo linguaggio?

Un indirizzo specifico non credo di poterlo suggerire, ritengo che la riflessione primaria debba essere sul perché fare fotografia (mi riferisco al campo artistico). Se la risposta è legata a traguardi economici o di stampo narcisistico, il percorso si trasforma in un esercizio di sadomasochismo e di insoddisfazione; un combattimento con i mulini a vento caratterizzato da una scarsa comprensione del panorama economico legato al passato, presente e futuro della fotografia. La chiave di lettura per il domani si trova nell’analisi del mezzo all’interno di un campo largo e stratificato, dove la fotografia è uno strumento altamente influenzato dalle perturbazioni tecnologiche, sociali e culturali del contemporaneo. La cosa più costruttiva oggi potrebbe trovarsi nel paradosso che prevede un interesse primario per ciò che è esterno al perimetro della fotografia, per consentire una comprensione maggiore di ciò che definisce e modifica tale delimitazione.

E, più in generale, cosa suggeriresti a un giovane studente appena arrivato in città?

Suggerisco di ritagliarsi il proprio spazio, avere il coraggio di costruirsi qualcosa mettendo in conto anni, se non decenni di necessari sacrifici. Roma è una città notoriamente difficile ma è anche generosa. Vale la pena ricordarsi che il patrimonio storico che caratterizza Roma, un tempo è stato l’espressione del contemporaneo. Roma è ancora tutta da costruire.

Matèria