Ernani Paterra, coordinatore del corso di Laurea in Fotografia e Video e docente di Fotografia dell’Accademia di Belle Arti di Roma, autore e regista di spettacoli audiovisivi

Com’è strutturato il Corso di Laurea in Fotografia e Video all’interno dell’accademia, e quali sono gli aspetti della fotografia su cui punta di più?

Il corso “Fotografia e Video” nasce all’interno della “Scuola di cinematografia, fotografia e audiovisivo” del dipartimento di Progettazione artistica. Il corso, come promette il nome, è basato sullo studio parallelo dei due linguaggi: quello fotografico e quello video. Nello specifico, lo studio della fotografia all’interno del corso è strutturato per garantire contemporaneamente la conoscenza approfondita del linguaggio visivo e lo sviluppo delle capacità critiche, nonché lo sviluppo artistico e professionale degli studenti. Il piano di studi comprende sia materie strettamente teoriche, sia materie pratico-laboratoriali. Lo studio della comunicazione visiva avviene attraverso uno stretto confronto tra i due media e solo al termine del corso lo studente sarà in grado di verificare quale strada intraprendere per poi eventualmente proseguire con un successivo corso magistrale. All’interno della nostra accademia, infatti, come prosecuzione del corso triennale sono stati istituiti due corsi di laurea magistrale: il primo, Nuovi linguaggi dell’arte, è indirizzato all’utilizzo del video in ambito artistico; il secondo, Fotografia editoriale, è invece indirizzato all’utilizzo della fotografia nell’ambito dell’editoria commerciale e artistica.

Mostra delle opere finaliste del Premio Leonardo Sciascia amateur d’estampes, ABA, Sede di Via Ripetta, Aula Colleoni, 2018

Parlaci di te e del team di insegnanti del dipartimento, come è impostata la didattica?

Il mio ruolo all’interno di questo corso di laurea è di coordinatore dell’area di fotografia, che consiste nell’ottimizzare la copertura dei vari insegnamenti di fotografia, sulla base della formazione artistica e professionale di ciascun docente, nonché delle diverse competenze specifiche, evitando sovrapposizioni di programmi. La didattica è volta a fornire agli studenti una preparazione sia teorica che pratica ed è arricchita da una serie di laboratori (illuminotecnica, ripresa, montaggio), workshop, oltre che da incontri e dibattiti con artisti, critici e professionisti del settore.

Qual è la relazione con gli altri corsi all’interno dell’accademia?

La maggior parte degli scambi e delle interazioni avviene in fase di progettazione e realizzazione di esposizioni e mostre, sia interne che esterne l’accademia. In queste occasioni si cerca sempre di coinvolgere più corsi di laurea, per mettere in campo le diverse competenze che li caratterizzano, in modo da instaurare collaborazioni anche tra gli studenti: quelli di Grafica, per la comunicazione; di Documentazione e comunicazione dell’arte, per la curatela degli artisti; di Arti multimediali, per la progettazione di supporti visivi e per la documentazione dell’evento; di Scenografia, per la progettazione e realizzazione degli spazi espositivi.

Perché dedicarsi alla fotografia oggi? Quali sono i linguaggi che trovi più interessante esplorare? 

Direi che oggi più che mai sia importante dedicarsi allo studio della fotografia, innanzitutto per esplorare il suo divenire come fenomeno sociale di massa, completamente modificato dal punto di vista ontologico. Le contraddizioni emerse con l’avvento del digitale portano a profonde riconsiderazioni del mezzo fotografico e dell’estetica che esso produce. Le semplificazioni tecniche hanno introdotto un appiattimento del pensiero del fotografo, ridefinendo completamente la semantica della comunicazione visiva.  Oggi ci troviamo a definire l’uso della fotografia come atto di produzione illimitato di immagini, ma le immagini di per sé non sempre sono portatrici di senso. Diventa quindi fondamentale un approccio alla fotografia che sia in grado di ristabilire la relazione tra pensiero e azione, cioè di restituirle l’unità di senso. Quanto ai linguaggi da esplorare, non mi sento di influenzare la loro ricerca stilando una graduatoria. Credo invece che, in una società ipertecnologica sempre più spinta nella produzione compulsiva di immagini, sia doveroso fermarsi un momento a riflettere su quelle già esistenti, rivolgendo uno sguardo agli immensi archivi esistenti, per scomporre e ricomporre le molteplici storie che essi raccolgono e che ci offrono come possibilità altra di lettura. 

Nella tua vita di autore così come nella didattica, la fotografia si intreccia con molti altri media visivi e con la progettazione di spazi. Ci racconti qualcosa di questo percorso e di come questi diversi linguaggi si trovano a interagire?

Si tratta di un percorso molto lungo e difficile da raccontare in poche parole; tutto inizia da un lavoro editoriale e multimediale agli inizi degli anni 80: uno studio su alcuni autori del cinema (Antonioni, Pasolini, Visconti, per citarne solo alcuni) e di come lo sterminato patrimonio di immagini generato nei loro film poteva essere tradotto in un immenso archivio di immagini decontestualizzate dalla narrazione. Mi sono, così, ritrovato a fotografare migliaia di fotogrammi direttamente dalle pellicole dei loro film, a catalogarle secondo dei criteri di attribuzione e successivamente a utilizzarli per realizzare degli spettacoli di multivisioni (audiovisivi immersivi ante litteram) nonché per prodotti editoriali, in particolare P.P.Pasolini, Corpi e Luoghi e M.Antonioni, Architetture della visione, entrambi editi da Theorema. Da questo lavoro durato una decina di anni, ho continuato poi nella creazione di prodotti audiovisivi, in particolare video ambienti per mostre e musei, spostandomi in ambito beni culturali e sempre partendo da archivi e/o campagne fotografiche specifiche. Potremmo dire che ho usato la fotografia, insieme ad altri mezzi, per realizzare prodotti di comunicazione più complessi. Non sono mai stato un fotografo puro e sebbene ciò possa sembrare una contraddizione, visto il mio ruolo, questo mi ha dato le libertà di insegnare la fotografia dall’esterno, alleggerito dalla visione personale che ogni fotografo tende a portare nella propria didattica. L’esperienza mi dice che ho potuto insegnare, con buoni risultati, la fotografia proprio perché non sono un fotografo.

Perché venire a studiare proprio a Roma?

Sicuramente perché Roma nella sua complessità e pluralità fornisce un enorme stimolo per chi vuole intraprendere un percorso artistico, in generale, e della fotografia in particolare. “Le foto…”, come dico sempre ai miei studenti, “… sono intorno a voi, vanno solo cercate e trovate”; così una città come Roma, densa di storia, di arte, di architetture e di grandi contraddizioni, può rappresentare un buon punto di inizio di questa ricerca. 

Cosa suggeriresti a un* giovane student* appena arrivat* in città?

Il primo consiglio che mi sento di dare è quello di provare a perdersi; infatti, solo così si può scoprire il piacere dello smarrimento, il gusto della scoperta e la forza dell’immaginazione. Roma non è una cartolina, sa essere profonda e superficiale allo stesso tempo; così, è necessario, se non addirittura vitale, osservarla con occhi insoliti e curiosi. Altro consiglio, indispensabile per una crescita culturale e artistica, è quello di stimolare la mente e gli occhi visitando musei, gallerie, cinema e teatri, concerti, spettacoli o, perché no, solamente passeggiando per le strade e le piazze della città.