Michele Palazzi, coordinatore del corso di Fotografia e Audiovisivo e docente di fotografia, RUFA — Rome University of Fine Arts, fotografo 

Com’è strutturato il corso di fotografia all’interno dell’accademia, quali sono gli aspetti della fotografia su cui punta di più?

Il Triennio di Fotografia e Audiovisivo a Rufa si configura in un quadro di profonde mutazioni nel campo della fotografia. Invece di offrire un percorso didattico rigido e imposto, il dipartimento si concentra su un approccio più aperto e interrogativo. L’obiettivo è stimolare gli studenti, che sono i futuri attori del mondo della fotografia, a trovare le proprie risposte in un contesto in rapida evoluzione. In questa ottica, il dipartimento considera anche il videomaking un elemento fondamentale, fornendo così agli studenti ulteriori strumenti per interagire con il mondo dell’immagine.

Parlaci di te e del team di insegnanti del corso, come è impostata la didattica?

Nel dipartimento, la struttura dei corsi e della didattica segue un percorso crescente. Nel primo anno, è fondamentale che gli studenti acquisiscano competenze tecniche, teoriche e culturali. Da un punto di vista teorico, la storia dell’invenzione della fotografia e, da un punto di vista pratico, l’approfondimento sulle tecniche di stampa antiche hanno un ruolo fondante. L’idea è permettere allo studente di considerare gli autori del passato come sperimentatori che hanno messo in discussione la fotografia fin dagli albori. Nel secondo anno, gli studenti iniziano a applicare le conoscenze teoriche e pratiche in modo più concreto. Hanno la possibilità di misurare le nozioni apprese attraverso la realizzazione di vari progetti fotografici in diversi ambiti del settore. Il terzo anno è dedicato alla professionalizzazione e alla promozione del proprio lavoro. Gli studenti non solo devono produrre materiale fotografico e audiovisivo di qualità, ma vengono anche accompagnati nella finalizzazione e promozione dei loro progetti, che può includere la creazione di un fotolibro o la promozione su piattaforme editoriali o artistiche.

Prospettive. Fotografare la Galleria Spada
mostra degli studenti Rufa di Fotografia curata da Giorgio Di Noto 

Da questo punto di vista, RUFA, ha organizzato anche mostre collettive a partire da progetti sviluppati in città, come quello a Palazzo Spada. Puoi raccontarci qualcosa di più di queste iniziative e di questo progetto in particolare?

Una delle iniziative più rilevanti che abbiamo realizzato negli ultimi anni, sotto il profilo delle collaborazioni istituzionali, è stata la mostra Prospettive. Fotografare la Galleria Spada. Questo progetto, ideato e curato dal docente Giorgio di Noto, ha offerto agli studenti di fotografia della RUFA l’opportunità unica non solo di accedere e fotografare gli spazi e le opere della Galleria Spada, ma anche di esporre le loro immagini all’interno degli stessi spazi della galleria. Questo non ha rappresentato soltanto una grande soddisfazione per l’accademia, ma è stata anche un’esperienza significativa per i ragazzi, arricchendo il loro percorso formativo e il curriculum.

Come hai scelto i docenti che insegnano all’interno del corso e come sono strutturati i diversi insegnamenti?

Quando ho preso le redini del dipartimento, che all’epoca esisteva da pochi anni, la direzione mi ha dato carta bianca per rivedere il piano di studi e integrare nuove figure docenti nel triennio. Questo mi ha consentito di ripensare l’approccio didattico quasi da capo, in dialogo con i docenti già in forze e quelli appena arrivati. Ho anche visitato varie accademie europee per capire quale potesse essere la struttura più efficace per garantire agli studenti una formazione pratica e di alto livello. L’elemento più distintivo del nostro triennio è l’incoraggiare una consapevolezza critica dei tempi in cui viviamo, ponendo l’accento su una solida formazione tecnica iniziale e una profonda comprensione del ruolo sociale della fotografia, con un focus particolare sulla fotografia contemporanea e le sue molteplici espressioni.

Quali sono gli esempi all’estero per te più interessanti da seguire?

Grazie al sistema Erasmus, abbiamo la possibilità di mandare i nostri studenti in diverse accademie europee e di accogliere studenti da altre istituzioni. Questo scambio arricchisce la nostra comprensione delle tendenze e delle direzioni che stanno prendendo le diverse accademie in Europa. Tra le accademie che ritengo particolarmente interessanti, c’è la Kask di Ghent in Belgio. Sono colpito dalla loro visione della fotografia contemporanea e dall’approccio multidisciplinare che adottano. Un altro esempio notevole è la FAMU di Praga, dove l’attenzione è più focalizzata sulla cinematografia. Questa specializzazione permette agli studenti di sviluppare un profondo senso della creazione di atmosfere e mondi, un aspetto che trovo molto interessante.

Ancora non ci hai parlato di te. Oltre ad essere direttore didattico di RUFA, sei un fotografo professionista e un autore con una lunga esperienza alle tue spalle. Qual è stato il tuo corso di studi? C’è qualcosa che ti è mancato e che sei riuscito a portare in questa nuova esperienza di coordinatore e docente? 

La mia carriera ha avuto un inizio che considero fortunato. Dopo il triennio presso la Scuola Romana di Fotografia, ho iniziato come assistente di altri fotografi e ho sviluppato i miei primi progetti a sfondo sociale. Il mercato dell’editoria, allora più florido, mi ha permesso di pubblicare questi progetti e successivamente di entrare a far parte dell’agenzia Contrasto. Nel 2015, ho avuto l’onore di ricevere un premio dal World Press Photo per un progetto di documentazione in Mongolia. Da allora, ho iniziato a interrogarmi su un approccio troppo tradizionale alla fotografia documentaria. Attualmente, sto esplorando nuove direzioni che possano fondere le radici documentarie con un linguaggio più personale e riconoscibile nei miei lavori. Il mio ruolo di coordinatore e docente ha inevitabilmente rallentato il mio flusso creativo. Negli ultimi anni, mi sono concentrato principalmente su commissioni editoriali e campagne pubblicitarie, ma la docenza mi ha sempre riacceso il desiderio di tornare ai progetti personali. A volte, i progetti degli studenti mi ispirano a tal punto da farmi provare una sorta di invidia creativa, spingendomi a desiderare di aver prodotto io stesso quella ricerca. C’è forse un po’ del mio spirito nei loro lavori. Quello che ricevo dall’insegnamento è una continua stimolazione creativa e la sfida a eguagliare o superare la qualità dei progetti degli studenti.

Non ci hai nemmeno detto cosa insegni in RUFA…

In RUFA, insegno Fotografia nel primo e nel terzo anno, conducendo gli studenti verso un approccio progettuale attraverso la fotografia. Iniziamo con l’esaminare la differenza tra una singola immagine e due immagini affiancate, per poi evolvere verso un discorso progettuale più complesso che possiede una sua narrativa. L’obiettivo è di concludere con la creazione di un libro fotografico al termine del terzo anno.

Qual è la relazione con gli altri corsi all’interno dell’accademia?

A mio avviso, la multidisciplinarietà è fondamentale in un contesto accademico come il nostro. È uno strumento che permette di scoprire e valorizzare le diverse capacità degli studenti. Non è raro che un studente sviluppi un interesse per aree che inizialmente non aveva considerato, che si tratti di modellazione 3D, grafica o incisione. Questa apertura a diverse discipline non solo arricchisce il bagaglio dello studente, ma in alcuni casi può anche aprire la strada a carriere professionali in campi diversi dalla fotografia. In questo modo, le competenze acquisite nel corso di fotografia possono essere applicate in maniera trasversale.

Perché dedicarsi alla fotografia oggi? Quali sono i linguaggi che trovi più interessante esplorare?

La domanda su perché dedicarsi alla fotografia oggi è una questione che sia fotografi che docenti dovrebbero porsi continuamente. Viviamo in un’epoca di rapidi cambiamenti, e la professione fotografica è una dei protagonisti di questo cambiamento. Oggi, un fotografo deve essere non solo un esperto nella creazione di immagini, ma anche nella loro interpretazione e promozione. Dal punto di vista professionale, il fotografo moderno domani deve possedere una gamma di competenze molto più ampia e variegata rispetto al passato. Non si tratta solo di produrre immagini di alta qualità, ma anche di saperle promuovere e divulgare in un mercato sempre più complesso e saturato. Quanto ai linguaggi fotografici, la domanda su quali esplorare è in continua evoluzione. Da una parte vedo un ritorno a tecniche “antiche” o storicizzate, come la fotografia su pellicola. Dall’altra, l’avvento delle immagini generate digitalmente apre nuove possibilità. Attualmente, sia nel campo della fotografia documentaria che in quello della fotografia di ricerca, stiamo assistendo a una sorta di introspezione critica. Nella fotografia documentaria, l’idea del fotografo come individuo impermeabile alla realtà che ritrae è fortemente messa in discussione, sollevando questioni etiche che non possono essere eluse. Similmente, nella fotografia di ricerca, c’è una costante interrogazione del mezzo e del ruolo dell’autore nella produzione artistica. In entrambi i contesti, si tratta di un percorso che va oltre la semplice rappresentazione, interpellando la pratica fotografica nella sua interezza.

C’è un progetto che ti ha particolarmente colpito ultimamente, e perché?

Un progetto che mi ha toccato profondamente è quello di Serena Radicioli, una delle mie studentesse, intitolato Non sei più tornato, che rappresenta anche il suo lavoro di laurea. Il progetto esplora una tematica dura e intensamente personale: la morte violenta di suo padre. Serena adotta un approccio che è al contempo documentario e di ricerca, ma anche estremamente intimo e coraggioso. Utilizza la fotografia come mezzo essenziale per comprendere il proprio passato e la propria storia, cercando di evitare giudizi superficiali e mantenendo invece uno sguardo lucido sulla realtà. Inoltre, il progetto è stato recentemente riconosciuto con il Premio Castelfiorentino per le Arti ed è stato esposto il 18 novembre al Teatro del Popolo di Castelfiorentino.

Perché venire a studiare proprio a Roma?

Roma è una città che ha una storia culturale profondamente radicata nella necessità di rappresentazione visiva. È affascinante come questa città, a differenza di altre culture monoteiste, abbia persino osato raffigurare il divino in forma umana. Questa tendenza storica alla rappresentazione è parte delle radici culturali della città e rappresenta un’enorme fonte di ispirazione per chi è interessato all’immagine e alla raffigurazione.

Cosa suggeriresti a un giovane studente appena arrivato in città?

Di prendersi il tempo per ascoltare e osservare. Roma è una città di straordinaria complessità, con una storia e una cultura stratificate che richiedono tempo per essere comprese. Prima di sentirsi spinti a raccontare o fotografare la città, è importante capire cosa essa ha da dire.